venerdì 7 ottobre 2016

Costa Rica. Laboratorio naturale La Selva. Nuove teorie sulla foresta pluviale.





Molte persone che non conoscono la foresta pluviale la avvicinano con una specie di timore reverenziale riservato ai grandi fenomeni architettonici o ingegneristici.
L'idea che una foresta sia come una cattedrale, un monolite, da ammirare in silenzio, è stranamente connessa al suo ruolo metaforico di esempio del primordiale, un Eden dell'ultima ora.
Rigenerazione e decadenza sono fenomeni rapidi nei climi tropicali, ma si è sempre pensato che i meccanismi altamente complessi e in relazione tra loro che formano una foresta impieghino secoli, persino millenni, a rigenerare se stessi.
La foresta pluviale tropicale della regione di Sarapiqui, e specialmente quella entro il laboratorio naturale di La Selva, è sempre stata considerata una rappresentativa di una copertura di foresta pluviale premontana, antica e relativamente intatta.






Ma la ricerca recente nella storia delle foreste di La Selva ha fatto nascere nuove teorie sulle capacità rigenerative della foresta pluviale, idee ritenute controverse dai conservatori.
A differenza degli alberi decidui delle zone temperate, quelli della foresta pluviale tropicale non formano degli anelli, così tradizionalmente gli scienziati hanno dovuto ricorrere ad altri metodi, come esaminare lo strato del terreno, per determinare l'età di una data zona di foresta.
Scoperte recenti (vasellame, pezzi di carbone vecchi di duemila anni, luoghi di sepoltura, un antico focolare, e utensili utilizzati per coltivare mais e manioca) fatte a La Selva, suggeriscono, nel senso più ampio, che le prime foreste pluviali della zona devono essere state tagliate, bruciate e abitate da generazioni di indios.
Nel frattempo, prove contemporanee fornite da scienziati che lavorano nel Darièn Gap e nel bacino amazzonico presentano la possibilità che le foreste pluviali delle Americhe possano essere più resistenti ai disturbi esterni di quanto non si pensasse in precedenza.




Nella conferenza per la Ecological Society d'America, i ricercatori di La Selva annunciarono nuovi dati che illustravano come nei primi ottocento anni della nostra era, la foresta della Riserva fosse stata distrutta dagli indigeni per fare spazio a piantagioni di mais, piccoli villaggi e spiazzi di pejibaye.
Per gli scienziati della foresta tale informazione chiarirebbe certi interrogativi riguardanti la distribuzione apparentemente naturale di alcune piante.
Ma in un senso più ampio seggerisce che, ben lontani dall'essere statici e inamovibili monoliti di biodiversità intatta, le foreste pluviali possono essere il prodotto di un costante cambiamento e adattamento, o almeno in misura maggiore di quanto si pensasse in precedenza.







Gli scienziati, a La Selva e altrove, specificano che questi reperti non assolvono la deforestazione o qualsiasi altra forma di distruzione della foresta pluviale.
I ricercatori affermano che, anche se può essere possibile coltivare la terra secondo canoni dello sviluppo sostenibile o in modo rigenerativo, il tipo di agricoltura che si crede sia stata tipica delle popolazioni precolombiane nella foresta pluviale, non era in alcun modo simile alla coltivazione massiccia delle piantagioni, al commercio di legna, ai grandi insediamenti abusivi e ad altre minacce alla foresta pluviale di cui siamo testimoni adesso.